Il controllo dei costi in sanità

Ottavio Narracci, Direttore Generale della Asl Bt, propone una riflessione sulla sostenibilità del sistema sanitario tra controllo dei costi e definizione di standard clinici e organizzativi. 

 

 

La recente presentazione del corposo saggio scritto e curato da Francesco Albergo e Alberto Pasdera, Il controllo dei costi in un’azienda sanitaria (dalla contabilità analitica ai costi standard),  svoltasi nella prestigiosa sede del Consiglio Regionale della Puglia, messa a disposizione dalla Presidenza con illuminata saggezza istituzionale, è stata l’occasione per ragionare intorno ad un tema di centrale importanza per la vita di tutti i cittadini,  quale la sostenibilità del servizio sanitario. In particolare, ed è il contenuto del volume, si è discusso su come le più avanzate metodologie di analisi economica e funzionale, la applicazione dei costi standard appunto, possono supportare i decisori nella predisposizione di adeguate politiche e nella adozione di provvedimenti efficaci per contemperare l’esigenza di raggiungere l’equilibrio economico-finanziario con l’esigenza di garantire sempre e comunque la qualità  dei servizi.

Il tema del costo standard, e cioè la determinazione del costo unitario e onnicomprensivo per ogni tipologia di servizio/attività/prodotto come base per la comparazione delle performances dei vari servizi sanitari regionali,  caro alle tecniche di direzione aziendale, è entrato con forza nel dibattito politico ormai da alcuni anni, avendo la Conferenza Stato-Regioni stabilito che la valutazione dei sistemi sanitari regionali deve basarsi sulla applicazione dei costi di riferimento sostenuti dalle regioni più virtuose (e per questo considerati standard), sia sotto il profilo della performance economico-finanziaria, desumibile dai bilanci consuntivi, sia sotto il profilo della performance funzionale, desumibile dalla percentuale di raggiungimento degli obiettivi di qualità correlati ai livelli essenziali di assistenza.

Successivamente, la legge di stabilità 2015 stabiliva che le aziende ospedaliere con disavanzi superiori a 10 milioni di euro o con squilibri del 10%, o ancora non in linea con gli obiettivi di qualità assistenziali fissati dal DM n. 70/2015, dovessero obbligatoriamente predisporre dei piani di rientro di durata triennale allo scopo di raggiungere l’equilibrio di bilancio, con la prospettiva che tale adempimento sarebbe stato in seguito esteso anche ai presidi ospedalieri gestiti direttamente dalle ASL.

Questa previsione normativa, da inquadrarsi nell’ambito delle più generali politiche di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, ha riportato fortemente al centro dell’attenzione la necessità, per il sistema sanitario nel suo complesso e a tutti i suoi livelli, di dotarsi di strumenti di analisi economica e funzionale in grado di supportare i vari livelli decisionali al fine di perseguire l’obiettivo di finanza pubblica, ovvero il pareggio di bilancio che, fatto nuovo rispetto al passato, viene finalmente considerato non più disgiunto, anzi è visto strettamente correlato agli obiettivi di appropriatezza clinica e organizzativa verso cui deve tendere l’intero servizio sanitario.

A fronte di tale importante prospettiva, si è evidenziato come pochissime regioni italiane, e cioè soltanto la Puglia ed il Friuli Venezia-Giulia, abbiano finora aderito al network di istituzioni e di enti che applicano la metodologia dei costi standard condividendone contenuti e risultati; a questo network si è recentemente associata anche la ASL BT, nella convinzione che sia necessario importare nel sotto-livello del controllo di gestione aziendale, metodologie e sistemi di analisi innovativi per affrontare il prossimo tornante dei piani di rientro ospedalieri con competenze e strumenti adeguati, impegnando trasversalmente le aree di gestione delle risorse economico-finanziarie e delle risorse umane, le direzioni e i dipartimenti ospedalieri, i professionisti sanitari tutti senza distinzioni.

Fin qui però nulla di veramente nuovo. Restiamo infatti all’interno del livello ospedaliero, nel quale queste valutazioni sono rese possibili da un sistema di contabilità in cui il valore della produzione (valore dei DRG, delle prestazioni ambulatoriali, della libera professione, delle attività non tariffate quali ad esempio l’emergenza-urgenza) e i relativi costi sono certi ed oggettivi. Nell’azienda sanitaria territoriale (non importa quanto grande, è una decisione del legislatore), il livello assistenziale dell’ospedale deve corrispondere al 44% dell’assegnazione regionale basata sulla quota capitaria pesata, mentre il 51% è in capo all’assistenza territoriale. Dunque, oltre alle dinamiche tipiche della gestione economico-funzionale ospedaliera, entrano in gioco altre dinamiche che influenzano in modo decisivo non solo la sostenibilità del servizio sanitario, ma la sua stessa natura e i conseguenti assetti organizzativi e funzionali.

Ed è qui che si apre una interessante riflessione sulla natura stessa del sistema regionale pugliese, appena accennata in occasione della presentazione del saggio di Albergo e Pasdera. In altre parole: esiste, o può esistere, un modello pugliese di sanità che possa affiancarsi a modelli più noti ed osannati perché in grado di mostrarsi virtuosi, quali il modello toscano, o il veneto, o il lombardo?

A questa domanda si può forse rispondere che, dopo anni di sofferenza legati al piano di rientro e ai successivi programmi operativi, il sistema sanitario pugliese ha di fatto raggiunto l’equilibrio economico-finanziario, pur dovendo ancora risolvere definitivamente alcune criticità di cui spesa farmaceutica e screenings oncologici sono un esempio, ed è stato capace di farlo anche grazie al proprio assetto istituzionale, grazie al quale anzi si è saputo dimostrare resiliente rispetto alle drammatiche emergenze cui ha dovuto fare fronte. Il duplice ruolo di committente e di produttore svolto dalle aziende sanitarie ha consentito e consente di orientare politiche sanitarie e socio-sanitarie in cui la governance è saldamente in mano alla sanità pubblica direttamente finanziata dalla quota capitaria regionale. E’ in questo perimetro che vanno disegnati i modelli assistenziali a supporto della cronicità, della poli-patologia, della fragilità, ovvero il bersaglio essenziale delle cure primarie ed intermedie assicurate dalle aziende sanitarie.

Su questi modelli, sperimentati, emergenti, ormai in via di standardizzazione, occorre dunque  dedicare particolare attenzione; è necessario estendere nelle aziende sanitarie metodologie di analisi economico-funzionale (i costi standard?) per assicurare sostenibilità ai processi di presa in carico dei cittadini bisognosi, mantenendo integro il modello pugliese con il quale non sarebbero compatibili ad esempio quei processi di “esternalizzazione a tariffa” delle cronicità che prendono ormai piede in altre regioni come la Lombardia mettendo fuori dal gioco pezzi fondamentali del sistema come la Medicina Generale.     

Altre discussioni e altri confronti si renderanno necessari, ad esempio se il futuro dell’associazionismo medico sia meglio garantito dalla cooperazione, oppure sul possibile ruolo delle Fondazioni di comunità nella gestione delle cure primarie ed intermedie, e molto altro ancora.

E’ auspicabile che tutto questo avvenga con il qualificato contributo del sistema formativo regionale (Università, in particolare le Scuole di Medicina, Istituti di ricerca, pubblici e privati), che riterranno di investire in ricerca e formazione per supportare il rafforzamento e la coesione del sistema regionale.

Con queste premesse, può veramente affermarsi un modello peculiare di sanità regionale pugliese basato su una forte governance pubblica, in grado di garantire una efficace sintesi tra funzioni di committenza e funzioni di produzione, costantemente orientato al perseguimento virtuoso dell’equilibrio economico-finanziario, inteso non già come mero adempimento, ma come espressione di una quotidiana dialettica tra ciò che è superfluo e ciò che è veramente necessario e utile per i cittadini.

Per tenere questa rotta, le aziende sanitarie devono adeguare la strumentazione di bordo e disporre di equipaggi ben addestrati. La Puglia e i suoi cittadini lo meritano ampiamente.

 

                                                                                                Ottavio Narracci

                                                                                      Direttore Generale ASL BT

Data di pubblicazione:

10/10/2017

Ultimo aggiornamento:

10/10/2017