La ricerca è degli scienziati e dei sognatori

Francesca, una sindrome della cute rigida (Stiff skin syndrome - SSS), un tutore e una ricerca col suo nome

Questa storia comincia da un momento di gioco e tenerezza. Un papà, una figlia sulle sue ginocchia, il gioco del cavalluccio. Mani nelle mani. Fin quando Cosimo non si accorge che il braccio destro della sua bambina, cinque anni, è rigido. Ha la pelle indurita ed è piegato. Francesca non riesce a stenderlo. Cos’hai? Le chiedono mamma e papà. Ti ha punta un insetto? Nulla. Qualche giorno prima erano stati in campagna e lei andando sul triciclo era caduta. Non si era fatta nessun livido ma sarà quello, si dicono Cosimo e Annamaria. 
 

Dopo la visita pediatrica, vanno al Pronto soccorso di Grottaglie. Che cosa le avete fatto? L’avete strattonata? È il primo pensiero del personale sanitario. Dalla radiografia non risulta nulla di rotto e allora rimandano alla consulenza ortopedica. Il giorno dopo, con l’ecografia, l’ortopedico nota delle imperfezioni sulle fasce. Si rivolgono a un dermatologo e poi a un reumatologo, quest’ultimo pensa a un’ipotermia e prescrive una pomata. “Guardavo i medici e percepivo che non avevano risposte - ammette Cosimo – perciò non perdemmo tempo”. La pomata non ha alcun effetto e Cosimo e Annamaria portano la bambina al Giovanni XXIII di Bari per una nuova consulenza reumatologica, stavolta con il dottor Carone. La bambina viene subito ricoverata in ortopedia pediatrica, vogliono intervenire visto che Francesca non riesce a stendere il braccio: “Parlavano di gesso progressivo – racconta Annamaria, ricoverata con lei – ma io mi opposi, mancava ancora la visita reumatologica. Così il primario la sollecitò”. 

Il reumatologo ipotizza una sclerodermia, fanno una biopsia, in sala operatoria e con anestesia perché la bambina è molto piccola. Il dottor Carone li manda a Padova, presso il centro di Reumatologia pediatrica specializzato in sclerodermia giovanile. “E invece il dottor Zulian disse: Non è sclerodermia, è una malattia ancora più rara. Potrebbe essere collagenoma. Ah, esclamai io. Già come finisce il nome non mi piace, commentai. Ci spiegò che si tratta di lesioni benigne della cute e del tessuto connettivo che però erano localizzate a braccio e collo. Ci consigliò la fisioterapia. Non era però convinto si trattasse di collagenoma, che in genere – disse – si manifesta in adolescenza, non lo aveva mai visto in una bambina di sei anni. Lo insospettiva anche la scapola destra che, mentre la bambina cresceva, rimaneva inglobata in questo tessuto indurito. Sono poche le persone con questi sintomi, vi consiglio di avviare delle indagini genetiche su Francesca e su di voi. E noi lo seguimmo”. La dottoressa Annicchiarico, pediatra della bambina, suggerisce di avviare l’iter a San Giovanni Rotondo, con il dottor Zelante ma dopo pochi mesi questo viene a mancare. Così si rivolgono al dottor Gentile, al Di Venere. Gentile invia al Sant’Orsola di Bologna un campione ematico per la ricerca del gene LDN3, negativo. Poi, su consiglio del dottor Zulian che gli aveva parlato di una collega di Padova che collaborava con un centro di malattie osteo cutanee di Losanna, Gentile chiede una consulenza via mail al professore di Losanna, Superti Furga. Quest’ultimo rileva un’anomalia anche a lui sconosciuta e chiede di vedere la bambina in età adolescenziale. “Noi, però, non potevamo aspettare”.

Cosimo e Annamaria non si fermano, tanto più che notano che il braccio destro non cresce come l’altro e in generale la crescita della bambina è sempre inferiore di un terzo percentile. “La dottoressa Annicchiarico l’ha sempre seguita in tutto, è sempre stata informata di ogni cosa, e così a maggio 2018, durante una visita, davanti a noi e in vivavoce, chiama il dottor Castori, che aveva sostituito Zelante a San Giovanni Rotondo. Fortuna ha voluto che lui si occupi di malattie del tessuto connettivo. La pelle è cellulitica? Chiese. È ipertricotica? E sì, c’era più peluria su quel braccio. Ha delle macchie? Intuimmo da quelle domande che lui aveva capito di cosa stessimo parlando. Per me non è sclerodermia, e non è collagenoma, è qualcosa di più raro, disse”. E sì, stiamo andando a salire! commenta Cosimo che del sarcasmo fa la sua difesa. A luglio 2018, in visita dal dottor Castori Annamaria e Cosimo per la prima volta sentono parlare di Stiff skin syndrome (SSS – sindrome della cute rigida). Nuova biopsia, stavolta in ambulatorio, con prelievo per lei e per i genitori, con la biologa Carmela Fusco. Il sospetto viene confermato. È il momento della diagnosi: spiegano loro si tratta di una malattia ultrarara, la cui letteratura clinica è molto scarsa, mostrano uno studio in Sudamerica, consigliano l’indagine sul gene FBN1. Unica terapia al momento conosciuta è il Losartan, una molecola per persone con ipertensione. Pare ammorbidisca la pelle. Cosimo si fa avanti: Volete che Francesca entri in uno studio di ricerca? “Francesca ha delle aspettative di miglioramento e noi non possiamo negarle a lei come persona né a noi come genitori. Così a dicembre 2018 abbiamo firmato la documentazione per far partire la ricerca, con la dottoressa Carmela De Meco. Lei, Fusco, Castori, Annicchiarico, sono gli artefici di questa ricerca. Dopo il primo ricovero, viene avviata la somministrazione del farmaco, che deve essere graduale fino a raggiungere i 50 mg. L’aumento progressivo avviene a ogni controllo periodico. Fino al Covid. L’emergenza sanitaria interrompe il follow up, e anche i miglioramenti che cominciavano a vedersi nell’estensione del braccio dove Francesca ha recuperato uno o due gradi. Ma senza visita non è possibile proseguire con l’incremento del dosaggio e così tutto si blocca per diversi mesi. 

Al controllo di gennaio 2022 tutto è fermo, quanto meno la malattia non è progredita. E si va avanti così, fino ai 16 anni, visto che il farmaco è ben tollerato mentre l’indagine genetica ancora non ha dato esito positivo, è risultata una lieve modificazione del cromosoma 10 ma ininfluente sulla patologia nota, e una causa ancora non c’è. Per la mancata crescita della bambina interviene l’endocrinologo a prescrivere la prima densitometria, risulta una seria osteoporosi “come una nonnina di 90 anni, ci dissero. Secondo Castori potrebbe trattarsi anche di altra malattia, sconosciuta, in cui le anomalie del tessuto connettivo e l’osteoporosi sono collegate. Per questo hanno prelevato campioni da unghie, capelli, saliva, vogliono cercare, capire. Castori ha proposto a Francesca di scrivere tutto ciò che accade, che pensa. Noi la sproniamo a farlo, è importante. Il paziente è il primo artefice della cura”.

Non è facile per lei scrivere ma, osserva mamma Annamaria, “adesso ha iniziato ad accettare, parla molto più liberamente della sua disabilità”. Anche il suo rapporto col tutore è cambiato. Francesca indossa un tutore che le tenga la mano allineata al polso. Nel tempo l’ha voluto di tutti i colori, “anche a pois! Ora lo preferisce color carne così si abbina a tutto. E lascia che si veda mentre prima lo nascondeva nella manica della maglia”. 

“È solo un tutorino”, disse la psicologa consultata per avviare il percorso di sostegno a scuola: Francesca in terza elementare aveva difficoltà nella scrittura, era lenta, disgrafica. “Non serve mica scrivere”, disse la professionista, anche davanti alla bambina. Il percorso è poi iniziato e Francesca ha imparato a scrivere con la sinistra. “Certo, non lo fa come chi è nato mancino, ma spesso la troviamo con due penne. Dalla disgrazia, la grazia. Non è stato facile, ci sono stati mesi in cui rifiutava di scrivere con la sinistra, volavano libri e quaderni. Noi la spronavamo. Anche quando lei sembrava credere a quella psicologa: A che mi serve scrivere, ho il tablet, diceva. Ora hai molti dispositivi – rispondevamo noi - ma se fossero in quel momento scarichi o fuori uso? Fosse pure una firma, devi saperla scrivere. E così ha imparato. Non solo a scrivere ma proprio a tirar fuori competenze. Dove non arriva con la destra, perché non può sollevare il braccio, lo fa con la sinistra. Ora vuole fare. Ogni tanto chiede di cucinare, voglio preparare l’aperitivo a papà – dice - e si mette a tagliare pomodori. Noi la lasciamo sempre fare. È terapia, per lei. Tutto è acquisizione di competenze, un giorno sarà grande e una pasta al pomodoro deve saperla preparare. La fisioterapia è l’unica vera certezza dei suoi miglioramenti, prima faceva solo chinesiterapia, poi siamo passati alla terapia occupazionale dove sviluppa la motricità fine e impara a fare un sacco di cose. Anche cose che noi non sappiamo fare. Al pc o ai capelli! Sa farsi da sola delle treccine piccolissime”.

È cresciuta molto e tanto merito è anche dell’associazione La nostra famiglia di Ostuni dove fa fisioterapia. Non solo per gli effetti sul braccio, ma su di lei come persona. “Tantissimo fa il confronto, non è cosa da poco. È benefico per lei che si rende conto che sì, ha una disabilità, ma ce ne sono di peggiori. E benefico per noi genitori. Parliamo molto fra noi. Quando dico che la disabilità di mia figlia è una risorsa, a volte mi prendono per pazzo – confessa papà Cosimo – ma è così. Io penso che siamo degli eletti che hanno la possibilità di cambiare il modo di vedere degli altri. Ciò che più conta per me è che se in farmacia manca la rampa e una persona in carrozzina non riesca a entrare, ci siano due che lo prendono di peso e lo portano dentro. Se per strada qualcuno non riesce ad attraversare, perché disabile o anche semplicemente perché ha paura, ci siano più persone pronte ad aiutarlo. Non me ne vogliano le associazioni che giustamente lottano per le barriere architettoniche ma è la mancanza di sensibilità l’urgenza maggiore. E poi vorrei sottolineare il fatto che un minore disabile lo si tratta con i guanti, appena compie 18 anni con la spugna rigida dei piatti. Non può essere così, una persona disabile lo è sempre, che sia piccola o adulta. Non è un numero, non è un codice fiscale. Ha sempre gli stessi diritti. Questo dovrebbe arrivare al tavolo dei politici”.

Al momento Francesca ha diritti, un farmaco in uso, la fisioterapia. E la ricerca col suo nome sopra. Percepisce attenzione attorno a sé, è consapevole di essere assistita. E questo per Annamaria e Cosimo è molto importante. Per loro che hanno scelto di non chiudersi, che si confrontano, con gli altri e con la scienza stessa. Ciascuno col suo rapporto personale. Annamaria è razionale: “Io voglio sempre sapere tutto, finora ho avuto la fortuna di poter scegliere e avere sempre medici molto diretti, molto chiari. Io lo preferisco”. “Vero è che a volte le risposte non le hanno neanche loro – aggiunge Cosimo – ma ci stiamo affidando. Magari adesso immaginiamo soltanto cose di cui, tra 50 anni, godranno altre persone. Qualche giorno fa abbiamo seguito il Congresso internazionale delle malattie rare: nanotecnologie, Car-T, medicinali liquidi iniettati direttamente sulle ferite. Io ho pensato: e se il Losartan si potesse iniettare direttamente sul braccio? Se diventasse un cerotto dermico? Avrebbe più effetto? Lo so,¬ mi si potrebbe prendere per pazzo ma le scoperte vengono anche per caso, anche con i sognatori come me. E magari se ho il coraggio di proporlo ai medici, posso trovare anche uno scienziato più pazzo di me che ci prova”.

La mamma razionale, il papà sognatore. E Francesca? “Tre anni fa ha ipotizzato che da grande si opererà: taglieranno l’osso – dice – e poi lo sistemeranno. Ma che film hai visto? Le ho chiesto io – racconta Cosimo col sorriso. Un sorriso per sdrammatizzare e al tempo stesso un sorriso d’orgoglio. Non sono un medico - le ho detto - parlane con la tua fisioterapista. Arrivati a Ostuni, ho fatto l’occhiolino a Sandra, Francesca ha parlato e lei le ha detto: Perché ne parli con me? L’ho detto a papà – ha risposto lei – ma lui non capisce niente! Francesca percepisce i suoi limiti e al tempo stesso si pone degli obiettivi, delle aspettative di miglioramento. Ne abbiamo parlato con i medici, per capire se fosse un’ipotesi o solo fantasia. Secondo Castori l’intervento è una prospettiva abbastanza giusta che però andrà ben valutata, non possiamo certo rischiare di smontare il braccio e non rimontarlo più. Tu saresti davvero disposta a correre questo rischio? Le abbiamo chiesto. La risposta non l’abbiamo ancora avuta”.

Mancano risposte in questa storia, come spesso capita dinanzi a una malattia rara e sconosciuta. La risposta più bella non viene dai medici ma da due genitori aperti, consapevoli e pronti alla sfida: “Quello che non sappiamo, lo scopriremo assieme”.

Data di pubblicazione:

08/07/2022

Ultimo aggiornamento:

08/07/2022