Malattie rare: non è solo una questione di sanità

Uniamo a Bari in occasione della Giornata delle malattie rare 2023

Ci capiterà nei prossimi giorni di viaggiare su un autobus, o di vederlo passare, con un messaggio sulla fiancata: “Rari, mai soli”. È una delle iniziative di Uniamo, Federazione italiana malattie rare, per sensibilizzare la popolazione tutta in occasione della Giornata internazionale delle malattie rare, il Rare disease day.

L’importanza di una rete

Bari è infatti una delle sei tappe con cui Uniamo attraversa idealmente l’Italia per portare le istanze delle persone e delle loro famiglie, occasioni di confronto per sviluppare la rete. “Non solo rete come interconnessione – precisa la presidente Annalisa Scopinaro -  ma rete come salvataggio, come quando si cade nel vuoto: è questo che accade quando sappiamo di una malattia rara. Ecco, dobbiamo fermare quella caduta nel vuoto con una rete che abbia l’elasticità sufficiente a raccogliere le persone”.

L’evento

All’evento, distinto in due momenti (il taglio del nastro dinanzi agli autobus e il convegno), hanno partecipato anche le istituzioni: dal sottosegretario di Stato, Marcello Gemmato, al presidente della Regione Michele Emiliano, dall’assessore regionale alla Sanità Rocco Palese all’assessora comunale al Welfare Francesca Bottalico, passando per Antonella Caroli, dirigente regionale del Servizio strategie e governo dell’assistenza territoriale che si è impegnata a portare in Giunta il provvedimento che darà attuazione a quanto già strutturato: i Nuclei di assistenza territoriale.


“Stiamo cercando di far capire che le regioni che lavorano bene sono da evidenziare come buone prassi. Questo è il motivo per cui siamo venuti in una città della Puglia che per le malattie rare sta facendo tanto” – così precisa Scopinaro, già presente a Bari il 24 giugno per il Congresso internazionale delle malattie rare.


Quattro sessioni animano la discussione, con le voci delle persone del mondo scientifico e associazionistico che più si sono dedicate alla rete delle malattie rare in Puglia in questi anni, contribuendone alla organizzazione ed evoluzione.

Esoma e diagnosi precoce

“Nonostante la tecnologia diagnostica abbia fatto grossi passi avanti, si attendono ancora 4-5 anni per una diagnosi corretta”. Così Luca Vurro, Associazione immunodeficienze primitive (AIP), che sottolinea le difficoltà che le famiglie con malattia rara devono affrontare: il senso di abbandono, il disorientamento, il peregrinare da un ospedale all’altro, il disagio socio-economico, soprattutto per quei genitori (più spesso le madri) costrette a lasciare il lavoro per assistere il proprio figlio. “Non è migliore la situazione quando la diagnosi arriva in età adulta, la malattia ha comunque un impatto psicologico forte che incide sulle relazioni: spesso il rapporto si interrompe perché il partner non ha la forza di sostenere questo impegno”.


Non tutto è negativo, però, e sia Vurro sia Mattia Gentile ricordano le fondamentali tappe della prevenzione sanitaria. Prima fra tutte, lo screening neonatale esteso, obbligatorio per legge, che pone l’Italia sul podio d’Europa e la Puglia al primo posto in Italia. “Oggi facciamo un esoma in 3-4 giorni – dice il direttore dell’Unità di Genetica medica a Bari - se me l’avessero detto qualche anno fa avrei riso. Ora andiamo verso lo screening molecolare. Non è semplice ma non è più tanto il futuro. E va detto che lo sviluppo di questi anni non è merito di noi medici: senza biologi, farmacologi, fisici tutto questo non sarebbe stato possibile. Ma ora spetta a noi medici raccogliere queste sfide e farne un’opportunità per essere al fianco dei pazienti”.

Informazione e formazione

Informazioni omogenee sui portali della sanità pugliese, contatti certi e formazione sono le richieste avanzate da Riccarda Scaringella, presidente della Rete AMaRe Puglia: “Credo che i tempi siano maturi per istituire un master in malattie rare e pensare alla formazione non solo in Medicina ma anche in facoltà come Scienze dell’educazione e della formazione, la Riabilitazione, ovvero quelle figure che sono necessarie a risolvere i bisogni concreti di molti malati rari”. 


Giovanni Gorgoni, direttore generale AReSS Puglia, parla di concentrazione, la concentrazione dei centri necessaria per il loro buon funzionamento. Purché questo non vada a discapito del paziente che ha diritto a non doversi muovere continuamente e per lunghi tragitti. Secondo Gorgoni un’opportunità immensa è offerta dalla tecnologia. “Le malattie rare possono giocare anche su questo campo (dopo genetica e screening) la partita di avanguardisti di metodi di cui beneficeranno poi anche altre patologie. Noi ospitiamo la prima centrale regionale di telemedicina. La telemedicina è uno strumento di sanità connessa non per sostituire diagnosi e cura in presenza con quelle da remoto ma è unione di pratiche tradizionali e pratiche nuove per risolvere l’estrema distanza di quei centri che hanno bisogno di essere concentrati”.


Tra i relatori non può mancare Giuseppina Annicchiarico, coordinatrice del CoReMaR, protagonista di molti progressi nel campo delle malattie rare sul territorio. “La Puglia è stata la prima regione a lanciare finanziamenti a 14 progetti di ricerca, a rendere obbligatorio lo screening neonatale per la SMA, lavoreremo presto anche ai trial clinici decentralizzati perché i pazienti devono poter partecipare a progetti di ricerca internazionali. Abbiamo raccolto i dati sulla migrazione fuori regione e abbiamo rilevato di aver ridotto di due terzi la mobilità passiva: la gente sa dove deve andare. Questo è il risultato nel nostro investimento sulla formazione dei distretti, il luogo dove le richieste di piani moderni e avanzati arrivano: la formazione è la base sostanziale dell’evoluzione di una rete. Di qui è partita la riorganizzazione che ha visto la nascita nel 2017 dei centri territoriali malattie rare e per cui la Puglia ha fatto da cartina tornasole anche per altre regioni”.

Ospedale e territorio

“Abbiamo costruito – afferma ancora Annicchiarico - quel ponte necessario per assistere i malati rari. Il paziente non può vivere nell’ospedale di riferimento, deve vivere a casa sua. Ecco perché oggi i pazienti seguiti per esempio al Bambino Gesù vengono curati con un processo integrato tra Roma e il territorio”. Di cure domiciliari e anche palliative racconta Mariana Bianco, Associazione Respirando, che descrive il percorso di un malato raro e della sua intera famiglia dalla diagnosi alla cura, il quotidiano affanno “a protezione dell’unicità”.

Ricerca e innovazione

Cinzia Pilo, Associazione Debra e Fondazione Reb, coglie l’occasione per ribadire il ruolo delle associazioni: “Solleviamo l’attenzione sui problemi reali, facciamo capire le vere istanze che agevolano i percorsi, affinché le buone intenzioni risultino utili, favoriamo l’accesso alla ricerca. Per fare tutto questo però occorre essere formati e preparati. Noi tutti dobbiamo essere uniti, pronti e competenti”.


E sono proprio le associazioni, secondo Giancarlo Logroscino - direttore del Centro per le malattie neurodegenerative e l’invecchiamento cerebrale – a conciliare sanità, welfare e innovazione, i tre mondi che abitano le malattie rare. “Si tratta di una sfida, anzitutto culturale: se vogliamo fare innovazione reale dobbiamo accettare varie scommesse in ogni campo e saper catturare l’interesse dei pazienti ma anche quello della piccola e grande industria che fa sperimentazione”.


A chiudere i lavori c’è Carlo Sabbà, professore di Medicina interna a Bari nonché membro del Coordinamento malattie rare in Puglia: "Mi occupo di malattie rare da 25 anni. Tempo fa non c’era la stessa percezione delle patologie rare, il merito è dei colleghi che hanno lavorato sul campo e delle associazioni. La sensibilità è nettamente aumentata. Moltissimo è ancora da fare ma non dobbiamo demordere. Più che conclusioni, questo è l’inizio dei lavori”. 



Data di pubblicazione:

20/02/2023

Ultimo aggiornamento:

20/02/2023